Coaching è una parola entrata sempre più nel gergo quotidiano. Se ne sente parlare nei contesti più diversi e ogni giorno spuntano coach un po’ ovunque come i funghi in autunno.
C’è il coach per l’inglese, per lo sport, il life coach, il business coach, la beauty coach… insomma è diventato un termine un po’ abusato.
Dove nasce la parola coach?
Facciamo un po’ di chiarezza. Il termine inglese coach deriva in realtà dal nome di un pittoresco villaggio ungherese, Kocs (http://kocs.hu), famoso – come si può vedere ancora oggi – per la costruzione di carrozze. Il concetto di mezzo di trasporto in grado di accompagnare una persona a raggiungere il luogo desiderato è l’idea di base rimasta fino ai nostri giorni.
Coach poi è stato prima usato nel contesto sportivo come appellativo per gli allenatori di varie discipline e probabilmente la prima volta che lo hai sentito è stato in qualche film di baseball o football americano.
In effetti è proprio dal mondo dello sport che nasce l’applicazione anche ad altri contesti. Il primo a dar forma al coaching contemporaneo è Timothy Gallwey che nel suo libro, The Inner Game of Tennis (1974) scrive:
“In ogni impresa umana ci sono due arene su cui si gioca la partita: quella esteriore e quella interiore. La partita delle dinamiche esteriori si gioca su un campo esterno, per superare ostacoli e raggiungere obiettivi esteriori. La partita delle dinamiche interiori ha luogo nella mente del giocatore, ed è giocata contro ostacoli quali la paura, il dubitare di sé, la perdita di concentrazione, e contro concetti e presupposizioni limitanti. La partita interiore si gioca per superare gli ostacoli autoimposti che impediscono a un individuo o a un team di realizzare appieno il proprio potenziale“.
A cosa serve il coaching?
In questo passaggio si trova già l’essenza di questa attività che successivamente Robert Dilts, uno dei punti di riferimento del coaching contemporaneo nel Manuale del Coach, ha definito:
“Il processo attraverso il quale si aiutano individui e gruppi di persone raggiungere il massimo livello delle proprie capacità di performance”.
Per chiudere questo quadro iniziale mancano due degli ingredienti fondamentali indicati da John Withmore che nel 1992, con il suo best seller Coaching for Performance, ha portato il coaching fuori dall’ambito sportivo per applicarlo alla vita professionale e privata. Il coach accompagna le persone in questo percorso verso lo stato desiderato, creando consapevolezza e responsabilità. In altri termini aiuta a ritrovare il giusto allineamento nelle diverse aree della vita, supportando la persona nel rafforzarsi nei punti giusti, in modo tale che il cambiamento scaturisca come una conseguenza naturale e non uno sforzo.
Finora ti abbiamo dato un po’ di definizioni ed eventualmente libri da sbirciare.
Nei prossimi post ci proponiamo di illustrarti quando, come e perché questo approccio può aiutarti a gestire situazioni complesse.
Stefania Ciani Trainer e Direttrice FamKare Academy